Quando il consumo critico diventa “organizzato”.
Davide uno studente di Cà Foscari.......parla dei gruppi di Acquisto Solidali e anche di noi
Quando si parla della crisi economica degli ultimi anni, si fa spesso riferimento ai cambiamenti che questa ha generato nei comportamenti d’acquisto dei consumatori. Effettivamente gli 8 anni passati dall’inizio della recessione ci consegnano un italiano dalle abitudini d’acquisto profondamente trasformate. Dati Istat alla mano, durante gli anni subito successivi a quel 2008, a causa della riduzione del potere d’acquisto, gli italiani spendevano meno e peggio1 rispetto al periodo pre-crisi, con segni negativi pressoché in tutti i settori, dall’intrattenimento al cibo. L’ultimo biennio invece, ci consegna un quadro più ottimistico in termini di efficienza d’acquisto. I consumatori continuano a soffrire della crisi (nel 2015 si è registrato un timido + 1,2% nella spesa complessiva degli italiani, che segna comunque un rinforzo dei consumi considerando i prezzi invariati derivanti da un’inflazione nulla), ma acquistano in maniera più critica rispetto al passato, chiedendo al mercato maggiori informazioni sui prodotti (ad es: sulla lavorazione, sulla filiera, ecc.), più qualità, più sostenibilità, prezzi più equi. Tagliare sì ma con criterio, sembra quindi essere il trend, (chi non conosce crisi sono i prodotti tecnologici), in un contesto che rimane comunque fatto di aspettative pessimistiche per il futuro, e che non incoraggia il consumo - un chiaro segnale è il recente andamento dell’’inflazione che segna una variazione al ribasso dallo 0.2% del 2014 allo 0,1% del 20152 - con più di 100 miliardi di spesa volatilizzatisi in 7 anni3 . Un ambito molto interessante da analizzare, e forse il più colpito dai suddetti cambiamenti, risulta essere quello degli acquisti di prodotti alimentari. I comportamenti d’acquisto dei prodotti alimentari sembrano avere la caratteristica di riuscire a rappresentare bene alcuni atteggiamenti dei consumatori nei confronti di fattori come il livello di qualità, il grado di sostenibilità, il rapporto qualità prezzo; forse perché lo stile alimentare viene sempre più associato al livello di salute delle persone (ovvero ad uno dei valori fondamentali che un consumatore punta a soddisfare) oltre ad essere connesso alle condizioni di vita di alcune specie animali, ad effetti generati sull’ambiente, sul clima e all’impatto sulle risorse idriche e alimentari (in questa sede non si ritiene opportuno proseguire tale analisi, data la profondità e l’importanza del tema, per il quale si rimanda ad un ulteriore dedicato approfondimento4 ).
Nel complesso del loro cosiddetto “cestino degli acquisti”, gli italiani, tra gli europei, sono coloro che destinano la quota maggiore del loro budget a cibo e bevande (il 18% dei consumi complessivi, quattro punti più della media Ue). Salgono gli acquisti di qualità nel food: il boom dei prodotti bio o "etici" è inarrestabile (insieme a quelli vegani e dei cibi etnici), ma questo vale anche per prodotti più sofisticati come le alternative al grano (+18%), i senza glutine (+32%) e le bevande alla soia (+20%). Un termine questo, “qualità”, che amplia la propria normale definizione, non identificandosi più soltanto nella qualità delle materie prime, ma incorporando anche la qualità delle condizioni di lavoro di chi opera nel processo di trasformazione ad esempio, o la qualità dei processi che utilizzano le risorse naturali in termini di efficienza e sostenibilità, ridefinendo un concetto di qualità più evoluto. Tali fenomeni scaturiscono da una maturante sensibilità dell’opinione pubblica, quindi dei consumatori, verso l’impatto che queste aziende producono nell’ambiente in cui vivono, in riferimento alle condizioni sociali e allo stato delle risorse naturali che li circonda; una sensibilità scaturita principalmente da un accrescimento della consapevolezza d’acquisto nelle persone.
La recente crisi finanziaria sta marcatamente influendo nella ridefinizione dei paradigmi economici, catalizzando l’affermarsi di nuovi “megatrend”, come quello dello “sviluppo sostenibile”, evidenziando l’esigenza di ristudiare certi assetti economici e sociali – da un recente studio di Accenture emerge un sorprendente dato riguardo la percezione delle persone rispetto a ciò che secondo loro influisce nei cambiamenti sociali che li riguarda, individuando l’operato delle aziende come di uguale entità rispetto alle scelte della politica e delle istituzioni5 . – in qualità di consumatori alimentari, molte persone cominciano ad integrare questo loro potere d’acquisto con una forte responsabilità, partendo dall’idea che il cibo rappresenti la più importante scelta personale di consumo che determina il nostro impatto individuale sull'ambiente. All’interno del frame descritto, prendono luogo alcune forme di cooperazione tra consumatori, vere e proprie community, dedite all’esplorazione del cosiddetto “consumo critico”: fenomeni associativi di collaborazione orizzontale in cui più consumatori si uniscono per contrastare le regole e i player dominanti in un certo mercato che ritengono non equi, ponendosi in contatto diretto con i produttori, tagliando fuori tutte le dinamiche distributive, principalmente quelle della GDO, grazie al potere d’acquisto accumulatosi dall’aggregazione di più consumatori che, ovviamente, cresce all’aumentare del numero dei partecipanti. Ciò di cui si sta parlando sono i già noti Gruppi d’Acquisto, solitamente attivati con il fine di ottenere condizioni economiche più vantaggiose rispetto ai canali tradizionali di distribuzione. Il classico gruppo d’acquisto può essere inoltre avvalorato di un'altra dimensione d’interesse, che viene identificata tramite l’aggettivo “Solidale”, dando vita ai G.A.S. (Gruppo d’Acquisto Solidale). Queste attività, che possono variare molto in termini di dimensioni organizzative, sono solitamente concepite come nicchie di resistenza e opposizione contro il modello dei supermercati; in questo caso, non soltanto con l’obiettivo di condurre acquisti a condizioni economiche più favorevoli rispetto a quelle che otterrebbero sul mercato “ufficiale”, elemento che rimane comunque presente, ma soprattutto con la volontà di tenere in forte considerazione la possibilità di garantire relazioni eque tra gli attori economici locali, preservando la qualità della produzione alimentare e la fiducia reciproca, allo stesso tempo, di promuovere lo sviluppo rurale e la sostenibilità della comunità, aiutando gli agricoltori locali proteggendo i loro margini di profitto contro le politiche di prezzo aggressive svolte dalla GDO. Per definire ancora meglio cosa siano i G.A.S. si potrebbe partire dalle dichiarazioni di retegas.org (la rete nazionale dei G.A.S.), che descrive Il Gruppo d’acquisto solidale come: <>. “Riflessione sui temi dell’alimentazione”, dunque qualcosa di più che un mero gruppo d’acquisto. In realtà non si tratta sempre e soltanto di prodotti alimentari, ma tale approccio coinvolge a volte anche altre categorie di prodotto, come ad esempio i prodotti di cosmesi. Si vedrà un esempio di tipologia di prodotti acquistati da un G.A.S. esaminando un caso concreto nelle prossime pagine. Il primo G.A.S. è nato nel 1994 a Fidenza, poi l’esperienza ha iniziato ad essere replicata in altre parti d’Italia. Nel 1997 prende forma la rete dei gruppi di acquisto, strumento strategico per i gruppi, in quanto permette loro di scambiarsi informazioni su prodotti e produttori, contribuendo a generare delle sub-leggi-di-mercato, caratterizzate da una maggiore attenzione alla “qualità” della filiera produttiva, rispetto a quelle “classiche”. Nel corso degli ultimi 10 anni c’è stata una vera e propria crescita esponenziale, con oltre 900 gruppi attivi oggi in Italia (solo quelli censiti da retegas), concentrati in gran parte al nord e al centro, tra Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia e Toscana. I numeri delle altre regioni sono inferiori, ma comunque in crescita. I Gruppi d’Acquisto Solidale diventano spesso l’occasione per stare insieme, condividere opinioni e nuove idee che diventano a volte progetti, materializzandosi in innovazioni di filiera, con riflessi concreti sull’economia reale. Il potere d’acquisto che essi ottengono dalla loro organizzazione in reti – un ulteriore fenomeno che recentemente interessa i territori particolarmente attivi, come l’Alto Tirreno (Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara), consiste nello sviluppo dei Distretti di Economia Solidale (Des) – riesce a diventare un vettore delle dimensioni che arricchiscono quel concetto di qualità allargato di cui sopra, portando con se effetti di trasformazione delle filiere produttive in cui operano i produttori con cui i G.A.S. si interfacciano. Vengono spesso inoltre coinvolti altri attori: dalle amministrazioni locali alle associazioni di categoria, insieme ai quali i G.A.S. strutturano reti che man mano acquisiscono un ruolo sempre più influente nei rapporti economici locali. Questa categoria di soggetti economici produce quindi un cambiamento “bottom-up”, che parte dal basso, dalle scelte di consumo, un cambiamento che principalmente vorrebbe tendere verso la capacità di indirizzare alcune “scelte produttive”.
G.A.S. “il Canneto” di Portogruaro, Venezia.
Viene qui proposta l’esamina di un G.A.S. quale contributo esemplificativo dei punti riportati sopra. Il G.A.S. analizzato riunisce più di 140 famiglie e ha sede in Veneto, a Portrogruaro in provincia di Venezia. Osservando il sito web de “Il Canneto”6 , questo il nome del gruppo, è possibile farsi un’idea della tipologia di prodotti tipicamente trattati. Le sezioni sono: “alimenti vegetali (acquisti frequenti e stagionali)”; “alimenti non vegetali (acquisti frequenti e stagionali)”; “prodotti di pulizia/cosmesi” e “prodotti di abbigliamento”; con una grande importanza ricoperta da quelli alimentari. Ciò che è interessante osservare esplorando le varie sezioni è il modo in cui vengono scelti i fornitori del G.A.S., a cui vengono destinate specifiche schede “profilo”, all’interno delle quali una variabile fondamentale utilizzata come criterio di scelta è definita dalla dicitura “Breve storia dell'azienda, motivazioni e scelta produttiva”: in questa sezione della scheda si dà grande importanza alla qualità del prodotto, secondo tutte le sfaccettature di questo termine. S tiene conto della presenza o meno di “vendita di prodotti realizzati da terzi”; del “rispetto sociale”: attraverso elementi come il rapporto donne/totale dipendenti, lavoro nero; dell’utilizzo o meno di sostanze inquinati; dell’utilizzo di energia rinnovabile. Ad esempio, per uno dei fornitori viene riportata una sua descrizione: <>. I fornitori vengono dunque valutati secondo variabili che non coinvolgono soltanto le caratteristiche strettamente legate al prodotto, quali sapore, freschezza, ecc., ma che prendono anche in considerazione elementi come la sostenibilità ambientale e l’impatto sociale prodotto dal processo di produzione. In seguito a tali considerazioni è forse logico pensare come, considerando l’entità delle attività produttive coinvolte, spesso fatte di piccoli produttori agricoli, questo tipo di impostazione adottata dai G.A.S. generi una forte influenza sulle scelte di filiera adoperate da tali produttori, in quanto probabilmente essi tenteranno di adattare quanto più possibile la loro produzione alle esigenze di questa tipologia di domanda, detentrice di un forte potere di acquisto, che in questo caso includono alti standard in termini di sostenibilità ambientale e impatto sociale. Attraverso questo fenomeno, i G.A.S. diventando essi stessi vettori di miglioramento di tali variabili nelle reti produttive locali, ricoprendo un ruolo di “influencer” positivo all’interno delle filiere produttive di settori agricoli-alimentari presidiati principalmente da piccoli produttori locali, detentori, per definizione, di un debole potere contrattuale. Essi generano due importanti effetti: A) la selezione dei produttori “migliori”, premiando e di conseguenza “proteggendo” i prodotti di qualità e i loro produttori che operano secondo criteri di sostenibilità; B) la stimolazione di un processo di adeguamento/miglioramento dei propri processi da parte dei produttori che presentano un gap rispetto agli standard di riferimento. Come accennato precedentemente, i G.A.S. fungono anche come importante “luogo” di scambio di informazioni per i propri membri. Prendendo ad esempio nuovamente il G.A.S. già considerato “Il Canneto”, è possibile trovare alcuni spunti molto interessanti per comprendere meglio come possa essere interpretata ed utilizzata tale risorsa: ad esempio, la figura riportata sotto, rende l’idea di un classico “avvertimento” scambiato tra i membri del “Il Canneto” attraverso i social, in cui, in questo caso, un membro segnala la presenza di un prodotto che non rispecchia l’autenticità dei prodotti “bio”.
A commento di tale segnalazione, uno dei componenti del G.A.S. evidenzia come: <<(…) con ritmi di crescita del 15-20% della domanda dei prodotti biologici, l'offerta sembri impreparata rispetto alle esigenze del mercato. Si tratta più che altro di business, e non di “etica e valori”>>. Al fine di contestualizzare meglio questo tipo di fenomeno, è bene osservarlo all’interno di un quadro internazionale, più che prettamente nazionale, dove non sono presenti definizioni universalmente accettate per l'innovazione “della comunità”, prendendo anche in considerazione la totalità delle categorie di prodotti e servizi. In altre parole, tale tipologia di fenomeno viene considerato come una forma di innovazione di tipo “bottomup” o della gente comune7 . Quest’ultima espressione può essere meglio descritta come "l'innovazione che viene generata dalla società civile (singoli cittadini, gruppi di comunità, ecc.), piuttosto che dal governo, dalle classiche leggi commerciali
Il caso italiano dei G.A.S. sembra incarnare invece un modello definito, che si stacca dall’orbita dei Gruppi d’Acquisto, conquistandosi una propria identità importante. Isola “rinnovabile” di Samsø, Danimarca Viene riportato qui un altro caso, avvenuto all’estero, emblematico della capacità d’intervento dell’azione sociale quando questa viene coordinata. Si tratta de “l’isola rinnovabile” danese di Samsø in Danimarca dove, nel 1997, in occasione di un concorso patrocinato dal governo, è diventata un modello di comunità energicamente autosufficiente non dipendente dal mercato dell’energia. Con il sostegno del governo, la gente locale ha potuto trasformare l'isola in un produttore (per se stessi) di energia rinnovabile, finanziando due parchi eolici, uno in mare aperto e uno interno, in grado di coprire il 100% del fabbisogno energetico dei propri cittadini. Gli isolani hanno anche fondato un'organizzazione chiamata “Samsø Energy Academy” che funge da centro di risorse della conoscenza sul rinnovabile, dove far convergere know-how ed esperienze pratiche di progetti sull’energia rinnovabile. Qualche anno fa, una delle persone chiave del progetto, Soren Hermansen, è stato insignito del “Goteborg Award” per il suo lavoro nel campo dello sviluppo sostenibile I G.A.S., come le altre tipologie di organizzazioni orizzontali, possono dunque rappresentare il valore delle potenzialità di un consumo critico che, quando è organizzato e strutturato, riesce a generare decisivi effetti già nel breve termine. Effetti che possono ricadere su decisioni importanti riguardo l’utilizzo delle risorse naturali, sulla tutela dei diritti dei lavoratori e delle condizioni sociali, attraverso uno sfruttamento efficace del “potere” del consumatore, spesso sottovalutato dal singolo individuo, ma che in realtà racchiude una grande potenzialità decisionale e dunque una grande responsabilità. In questi casi, azioni “grassroots”, ovvero che partono dalla comunità, possono essere in grado di superare i limiti di flessibilità e capacità d’innovazione che presentano a volte le istituzioni di fronte a certi temi, sostituendosi a quest’ultimi nell’applicazione di interventi sociali strettamente aderenti ai bisogni percepiti da tali comunità