REPORT ABITI PULITI - PARTE SECONDA
Quanto è vivibile l'abbigliamento in Italia?
Tra Ottocento e Novecento la città di Milano, oggi fra le capitali mondiali della moda immateriale, era uno dei poli dell'industria tessile italiana. Così "Le Arti tessili", organo della Federazione Nazionale Operai Tessili, descrive nel 1903 l'uscita all'alba delle operaie del turno di notte dagli stabilimenti della provincia: "Pallide, sfatte, coperte di polvere, i capelli spettinati, con grandi cerchi lividi agli occhi, arsi dal pulviscolo, dalla stanchezza e dallo sforzo".
Le esalazioni dei maceri, le polveri stagnanti, i macchinari non protetti mietevano vittime tanto quanto la malnutrizione e le lunghe ore di lavoro, rendendo la fabbrica un luogo pericoloso e nocivo al massimo grado.
Le morti in giovane età per tubercolosi colpivano le filatrici e le tessitrici molto più di quanto non accadesse in altri settori e una delle cause risiedeva in un'operazione, passata alla storia con l'agghiacciante immagine del "bacio della morte", che consisteva nel far passare il filo nella cruna della navetta aspirandolo con le labbra.
Per quanto non mancassero mezzi meccanici alternativi, gli industriali non se ne servivano avendo a disposizione una manodopera numerosa, a basso costo e facilmente sostituibile. I salari venivano decisi dal datore di lavoro e le tariffe erano soggette in ogni momento a riduzioni arbitrarie.
Le operaie cominciavano ad organizzarsi e alle tessitrici va il merito di aver dato avvio in Italia alle lotte per l'orario di lavoro, che portarono agli inizi del Novecento alla giornata di 10 ore, e con punte di assoluta novità nelle richieste rivendicative, come testimonia l'episodio esemplare dello sciopero delle 400 tessitrici della ditta Da Re che, nel luglio 1899, bloccarono per giorni la produzione in un momento di alta stagione, costringendo il proprietario a introdurre il fondamentale principio del minimo salariale e un regolamento interno steso dalle stesse operaie.
La storia ci insegna che i diritti non sono mai acquisiti una volta per tutte e dopo le grandi stagioni delle lotte sindacali che nel secondo dopoguerra hanno consentito di ottenere contratti collettivi di lavoro, le prime leggi organiche sulla salute e la sicurezza, lo Statuto dei lavoratori, e la piena libertà sindacale, oggi la globalizzazione ha rimesso tutto in discussione, restituendoci un mondo produttivo che non si discosta quasi in niente dalla fotografia impressa sulla lastra della storia uno, due secoli fa.
L'industria della moda, che comprende i comparti del tessile-abbigliamento, calzature, pelli e cuoio, occhialeria, accessori, continua a essere un settore trainante nell'economia del nostro paese, secondo nel manifatturiero solo al metalmeccanico e il primo per rilevanza dell'occupazione femminile.
E' un settore caratterizzato dalle presenza di imprese di piccole e medie dimensioni anche di tipo artigiano che impiegano una media di 8,5 addetti per azienda.
Agli inizi degli anni Novanta, in un'epoca che annuncia l'esodo delle imprese produttrici verso paesi a basso costo della manodopera, alla ricerca di espansione commerciale e del massimo profitto, il numero di addetti del settore superava nettamente il milione, con la presenza pressoché di tutti i segmenti della filiera produttiva, ad eccezione della fase della coltivazione delle piante tessili.
La crisi economica e finanziaria internazionale del 2007-2008 ha avuto ripercussioni particolarmente negative su questo comparto, che era già in recessione da almeno dieci anni, periodo durante il quale le delocalizzazioni, la riorganizzazione dei modelli produttivi, la necessità di competere con i paesi a basso costo del lavoro, hanno messo fuori mercato un gran numero di aziende di piccole dimensioni con lavorazioni proprie o in conto terzi.
Il risultato è stato una diminuzione netta del numero di imprese e di posti di lavoro già alquanto in declino. Fra il 2007 e il 2012 il numero di addetti dell'industria del tessile-abbigliamento italiana (escluso il calzaturiero) è passato da 513mila unità a 430mila con un calo del 16% e il numero di aziende da 58mila a 50mila circa con un calo del 13%, che si accompagna a una perdita di fatturato di quasi il 10%.
Le crisi aziendali sono state tamponate in varia misura nel corso degli anni con il ricorso ad ammortizzatori sociali, in particolare la cassa integrazione guadagni, che pur evitando licenziamenti di massa, e garantendo ai lavoratori un reddito in attesa del superamento di una difficoltà economica momentanea, non sempre hanno fatto da ponte alla ripresa delle attività produttive.
Veneto, Toscana e Campania come aree di indagine
Nonostante queste difficoltà, il settore del tessileabbigliamento (escluso calzaturiero) contribuisce per il 10% al valore aggiunto totale dell'industria manifatturiera italiana e per il 14,2% dell'occupazione13. La stessa importanza riveste nell'ambito dell'Unione Europea a 27, considerato che circa un terzo del fatturato del settore e il 28% circa delle imprese sono riconducibili all'Italia
L'industria calzaturiera italiana, a sua volta, era nel 2011 il decimo produttore mondiale con 80 mila addetti che costituiscono quasi i due terzi di tutti gli occupati nel settore calzaturiero in Europa .
Nell'ambito del commercio mondiale l'Italia occupa la seconda posizione, dopo la Cina, per gli articoli di abbigliamento, le calzature e i prodotti in pelle, e il quarto per quella dei prodotti tessili
Il settore tessile-abbigliamento e calzaturiero è concentrato in nove regioni: Veneto, Lombardia, Emilia- Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Campania e Puglia.
Le tre regioni oggetto della nostra indagine (Veneto, Toscana e Campania) mostrano valori alti per numero di addetti e di imprese, ma anche di quote di esportazione. Le province in cui la filiera del tessileabbigliamento è maggiormente presente in termini di incidenza degli occupati sugli addetti totali sono Fermo (36,2%), Prato (35,5%), Biella (25,8%), Barletta-Andria- Bari (17,4%) e Macerata (15,4%). In valore assoluto, le province in cui opera il maggior numero di addetti della filiera tessile-abbigliamento e calzature sono Milano, Napoli, Roma, Firenze e Vicenza; in queste province lavora oltre un quarto (25,2%) degli addetti della filiera.
Un elemento distintivo del sistema produttivo del tessileabbigliamento e calzaturiero italiano è la concentrazione delle imprese manifatturiere in distretti produttivi specializzati (fra i più noti, per citare solo alcuni esempi, il distretto della lana e della maglieria di Biella, il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, il distretto del jeans nella regione Marche).
La nostra ricerca prende in esame tre realtà regionali localizzate al Nord, al Centro e al Sud del nostro paese (Veneto,Toscana e Campania) e al loro interno tre specifiche aree produttive: il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta per il Veneto, le filiere del tessileabbigliamento di Prato, della pelletteria di Firenze e delle calzature di Valdinievole in provincia di Pistoia per la Toscana, il sistema moda della provincia di Napoli per la Campania.
Questi comparti rivestono un ruolo importante nell'economia dei relativi contesti regionali, ma i loro sistemi produttivi e del mercato del lavoro sono estremamente differenziati per livelli qualitativi, per tipologia di prodotto, per le caratteristiche generali dei mercati del lavoro, per la minore o maggiore presenza di manodopera straniera e di donne; infine per la quota di lavoro irregolare e di conseguenza della quota di produzione sommersa.
Il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta (Veneto)
E' uno dei principali distretti calzaturieri italiani specializzato nella produzione di calzature femminili di media e alta qualità. Il 90% della produzione viene esportato con destinazione Germania, Francia, Svizzera e alcuni nuovi mercati tra cui quello russo e cinese. Nell'area operano 550 aziende che occupano 10-11.000 addetti per circa i due terzi
donne. Gli immigrati costituiscono circa il 10% della forza lavoro, in prevalenza di origine marocchina, bangladese e romena. Un ulteriore 10% è di origine cinese occupata pressoché esclusivamente nelle circa 150-200 imprese di subfornitura di connazionali, di cui qualche decina opera in modo irregolare o semi-regolare. Altre 3-400 lavoratrici operano nelle proprie abitazioni nell'orlatura: il loro numero è in forte diminuzione in seguito alla delocalizzazione
di questo tipo di lavorazione. La capacità manifatturiera a prezzi contenuti ha spinto alla fine degli anni Novanta alcune principali imprese del lusso mondiale a installarsi nel distretto acquistando piccole e medie imprese, e trasformando alcune medie realtà produttive in propri licenziatari o terzisti. Sono oggi presenti nell'area Louis Vuitton con 400-450 dipendenti, Giorgio Armani con 170-200 dipendenti, Prada e Dior con un centinaio circa di dipendenti ciascuno.
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